Giovedì scorso (8 Maggio), durante la riunione di redazione al Fatto Quotidiano, in attesa della fumata, Pierluigi Giordano Cardone ha pronunciato una frase tanto semplice quanto potente. È bastato quell’incipit per spiazzare tutti: “Il mondo si è fermato a guardare.”
Concetto all’apparenza banale, ma pure profondamente rivelatore. L’umanità ha focalizzato la propria attenzione collettiva, non davanti ad un monumento, né di fronte ad un leader carismatico, e tanto meno ascoltando una dichiarazione epocale. Ma semplicemente su una canna fumaria, in cima ad un tetto.
Vecchie tegole, un comignolo e un gabbiamo che per alcuni istanti si è messo a nutrire il proprio piccolo, sono diventati i veri protagonisti per centinaia di persone che, presenti in piazza o incollati davanti a monitor e tv, non assistevano a “qualcosa che stava succedendo”, ma restavano in attesa di “qualcosa che sarebbe successo”.
La realtà silenziosa, lenta e densa, che in un’epoca dominata dalla velocità, dalla connessione permanente, dall’ansia di fruire contenuti per sapere tutto e subito, si è presa una disarmante pausa.
Il rito del conclave è uno dei pochi eventi globali che non si piega al ritmo del mondo moderno. Nessuna diretta da dentro la Cappella. Nessun tweet ufficiale. Nessuna previsione precisa. Solo l’incertezza dell’attesa. Solo un segnale, che arriva da un vecchio camino: il colore del fumo.
Dal giorno della scomparsa di Papa Francesco si sono spese infinite parole sul “dopo”. Altre ne verranno con l’“Habemus Papam”. Ma nel frattempo, tutto si è fermato. Tutto ha taciuto. Tutto ha portato lo sguardo su quel comignolo su un tetto antico.
E così, quel simbolo fragile, quasi anacronistico nel cielo romano è diventato una metafora potente. Illuminando l’idea che esista ancora un tempo “diverso”. Un tempo che non usa algoritmi. Un tempo in cui si riflette, si discernere, si decide insieme. Perché, si è uguali tutti nell’attesa.
Un tempo comodo, dolce, protettivo e caldo come una coperta di lana. Un tempo in cui le bandiere di stato fatte volteggiare dalle centinaia di persone in piazza si accostano vicine, polverizzando i concetti geopolitici, rette da una sola ed unica speranza in cui tutti hanno creduto.
In un mondo in cui il valore delle cose sembra spesso misurarsi in “tempo di risposta” o “velocità di esecuzione”, il Conclave ha offerto un contrappunto solenne. Ci ha ricordato che non tutto può – né deve – accadere subito. Che ci sono processi che hanno bisogno di silenzio. Di profondità. Di lentezza. Di introspezione.
Per qualche ora, il mondo ha guardato un piccolo camino. Ha aspettato cosa sarebbe accaduto senza sapere né quando, né come. E in quella sospensione quasi mistica, si è riscoperto qualcosa di essenziale: il tempo può essere uno spazio di senso, non un vuoto da colmare con uno scroll a testa china su un display.
In un tempo in cui ogni secondo deve essere monetizzato, ottimizzato, riempito, il fumo della Cappella Sistina ci ha detto che il tempo non va sempre afferrato.
A volte, va solo abitato.