Se siete convinti che il fine ultimo delle piattaforme social come Facebook sia quello di recuperare sempre più informazioni su di noi a valle dei click che facciamo, solo per il fine di confezionare semplicemente pubblicità su misura da propinarci, beh, allora non avete mai sentito parlare del Signor Dean Eckles!
Questo trentenne dai capelli rossi, e dalla mente certamente brillante, insegna Comunicazioni e Tecnologia al MIT, dove tra l’altro ha conseguito un dottorato dal titolo “Scienze comportamentali applicate ai social network”, e a tempo perso lavora come consulente per Facebook, dove è a capo di un dipartimento particolarmente interessante.
Di cosa si occupano lui e il suo staff? Semplice: di dettagliare per ognuno di noi il così detto “profiler”, scavando nella nostra psiche e studiando le motivazioni emotive che ci spingono a muoverci nella rete e nel fare acquisti (e quindi fare scelte), con una tecnica conosciuta come “psychographics”. Sembra una banalità, ma l’occhio celeste del grande fratello finanzia studi al fine di ottimizzare algoritmi per la “Sentiment Analysis Platform”, strumento che permette di capire l’umore e le emozioni della persone che gironzolano di qua e di là nel cyberspazio.
L’assunto parte da un concetto semplice: siamo esseri umani, e come tali ci muoviamo su internet, interagiamo nei social e facciamo ovviamente acquisti mossi da sentimenti, emozioni e stati d’animo. Questi nuovi algoritmi sono nati quindi per arricchire la già esistente base dati su ognuno di noi, con informazioni sempre più raffinate ricavate dalla nostra presunta personalità e psicologia.
Se all’inizio, per esempio, ci venivano proposte pubblicità su un centro benessere semplicemente perché avevamo cercato per giorni in Google un pacchetto weekend da regalare alla nostra donna, oggi la stessa pubblicità ci verrà proposta perché magari saremo tornati nuovamente single e il “sistema” ha intuito dai nostri movimenti digitali che siamo moralmente a terra e che forse ci farebbe bene fare una sauna rilassante. Credetemi non è fantasia, perché Eckles e il suo team hanno dimostrato che utilizzando questi algoritmi è possibile aumentare fino al 40% l’efficacia del materiale pubblicitario.
In altre parole, e volendo semplificare, se prima era complesso capire il collegamento logico che poteva correlare due tipologie di acquisto da parte di uno stesso utente, adesso con il suo profiler sarà più semplice analizzare le motivazioni perché lo stesso sia spinto a comprare una T-Shirt D&G piuttosto che il DVD di Arma Letale.
Ma il bello deve ancora arrivare: capendo le motivazioni che stanno alla base di un acquisto è facile creare i presupposti per l’acquisto stesso, in altri termini convincere l’utente a spendere; è stato dimostrato con dati oggettivi che stiamo passando dalla semplice proposta alla vera e propria persuasione. Capiamoci, non è che qui abbiamo scoperto l’acqua calda: nei sistemi mediatici passivi per eccellenza, ovvero la televisione e la radio, questo era già noto.
Sicuramente vi sareste chiesti perché di notte ci sono moltissime pubblicità, o perché in fasce orarie diverse ci vengono proposte pubblicità diverse? Questo perché chi guarda la televisione alle tre di notte potrebbe essere più suggestionabile, o perché alle dieci del mattino una casalinga sconsolata che utilizza un inefficace aspirapolvere potrebbe d’impulso chiamare il mitico numero in sovraimpressione per sostituire il proprio elettrodomestico.
Va da sé, quindi, che ora la potenza di fuoco della profilazione commerciale si è radicalmente ampliata, e questo perché, rispetto a prima, adesso possiamo interagire con il media fornendo migliaia di informazioni utili. Nel migliore dei casi le informazioni raccolte su ognuno di noi potrebbero essere vendute a chi le saprà sfruttare per rendere più mirate le proprie proposte di acquisto. Nulla di scandaloso allora se Amazon ci propone libri che ci piacciono, o Netflix ci presentasse “per caso” un nuovo film accattivante.
Ma se invece i dati del nostro profiler fossero utilizzati per aggirare la nostra razionalità, facendoci agire in maniera compulsiva? Si potrebbe per esempio creare un sistema di propaganda politica utilizzando news e messaggi mirati ad influenzare gli elettori facendo perno sulle loro emozioni e debolezze. Bingo!
Un rapporto “vero” è basato sulla consapevolezza che ognuno di noi ha nel condividere parte di sé agli altri; anche quando semplicemente postiamo qualcosa su un social network, siamo coscienti che stiamo comunicando qualcosa di noi. Nel caso però della Sentiment Analysis Platform, non sappiamo quali siano le informazioni personali che la rete sta collezionando, e di conseguenza non abbiamo nemmeno idea su fino a che livello si stia spingendo l’azione di persuasione nei nostri confronti.
Karl Popper, famoso epistemologo del XX Secolo, diceva una cosa molto semplice: se abbiamo visto sempre cigni bianchi, non vuol dire che tutti i cigni siano bianchi. Se vi accorgete di essere mitragliati, senza alcun margine di contradittorio, solo da news su migranti che rubano il lavoro e alimentano la criminalità per le strade, beh, direi che è finalmente giunto il momento di farsi delle domande e di mettersi a cercare il controesempio: il cigno nero!