L’ecosistema disintegrato – (atto primo)

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Mi piace l’idea di uscire dal campo da gioco e sedermi sulle gradinate per assiste alla partita, mentre affondo la mano in un sacchetto gigante di M&M’s.

Sono anni affascinanti per chi lavora nei Servizi Finanziari, pieni di novità e colpi di scena che fanno a volte sudare freddo i nostri Amministratori Delegati i quali, appesi al muro i loro Master Bocconiani, devono rapidamente capire usi e costumi giovanili, mentre leggono le dichiarazioni rivoluzionarie di qualche trasandato ventunenne americano CEO di una nuova Digital Company dai fatturati milionari.

Acronimi di varia natura e parole come “Big Data”, “Fintech”, sono entrate di prepotenza nella nostra quotidianità, disintegrando in poco tempo un ecosistema stagnante, che per decenni imperava tra i salotti buoni della finanza (non solo Italiana!).

La digitalizzazione ha cambiato le regole del gioco, in questo ambiente fatto di abiti scuri e cravatte, legate tra loro con prepensionamenti, normative, processi di gestione e organi di vigilanza che spesso non hanno voce in capitolo.

La Banca del passato insomma deve chiedersi “che cosa vuol fare da grande”, trovando un proprio posto tra i nuovi attori, che senza mezzi termini stanno imponendo modelli di business rivoluzionari, basati su quella che viene definita ormai da tutti la “Intangible Economy” (economia dell’intangibile) nata per amministrare capitali e linee di credito, sviluppare piattaforme di Fast-Payment, gestire il microcredito e altro ancora.

Una volta gli istituti bancari vendevano prodotti senza preoccuparsi troppo di chi avessero davanti. Le uniche informazioni richieste erano legate alla valutazione del tasso di rischio in relazione ad un possibile finanziamento o semplice investimento.

Successivamente dal prodotto si è passati alla consulenza, per finire poi ad oggi alla vendita di servizi mirati, aumentando e personalizzando così la varietà dell’offerta (molte banche oggi sono per esempio broker di prodotti assicurativi).

Fatto salvo quindi per quelli fino alla mia generazione (non voglio dare del vecchio a nessuno), i nuovi clienti sappiano essere Digitali, e con grosse pretese. Per loro natura, sono “multitasking” e fruiscono di molteplici “servizi verticali”, facili da utilizzare ma soprattutto “Always-ON”.

C’è chi mantiene per esempio il proprio deposito presso una semplice Banca tradizionale, su cui poggia la Carta prepagata per gli acquisti su Amazon della madre, utilizzando poi Jiffy per trasferire credito P2P e infine pagando con Satispay la cena del sabato sera alla propria ragazza. Ma creare servizi ad-hoc vuol dire conoscere il proprio cliente, fino a sapere se questo gioca a Golf, se mangia Messicano, se è single o se ama le auto cabrio; Ed è qui, che il grande Bardo direbbe che c’è l’intoppo.

Si, perché la politica “user-oriented” è stata sempre sottovalutata per non dire snobbata, per questo o per l’altro motivo ma ora, che la digitalizzazione sta cambiando la relazione con il cliente, per le banche è arrivato il momento di focalizzare rapidamente gli sforzi su due aspetti: valorizzare l’esperienza utente e aumentare in maniera massiva il patrimonio informativo della clientela per capirne le esigenze e quindi confezionare soluzioni personalizzate. Per un attimo allora, lasciamo perdere la concorrenza che arriva da oltre oceano.

Dimentichiamoci di Lybra, Criptovaluta, Fintech specializzate e altro ancora, ma facciamo semplicemente il punto su cosa realmente serve alla base.

Per prima cosa parliamo di Canali Flessibili e Reattivi. Nel passato un punto di forza delle fusioni era l’acquisizione dell’anagrafica cliente e quindi del portafoglio, ma anche la crescita delle filiali, che ne aumentava la profondità della rete vendita e quindi la presenza sul territorio.

Questo assioma in pochissimi anni è stato letteralmente disintegrato, trasformando un vantaggio competitivo in un freno alla trasformazione.  Secondo uno studio ABI dell’anno scorso, nel nostro paese la frequenza di visite in filiale si sono abbassate del 30% nei soli ultimi cinque anni.

Al contrario, gli accessi tramite App dallo smartphone sono passati dal 4% al 29% nello stesso arco temporale.