Nomofobia, il gratta e vinci della paura

Per chi non fosse informato sui fatti (credo pochi), lo scorso 13 marzo è successa una cosa che ha in parte dell’incredibile: Facebook e WhatsApp sono rimasti offline per parecchie ore, per un motivo probabilmente tecnico, ma ancora da accertare. Il mio primo pensiero è andato al valore del titolo, che a mio avviso ha retto comunque con dignità, specie se paragonato alla “leggera flessione” dello scorso luglio a valle dello scandalo Datagate; ma la mia attenzione si è invece focalizzata su altro aspetto, che francamente mi ha fatto riflettere di più. Nelle ore buie in cui le persone hanno avuto a che fare con strani errori di collegamento, si sono sviluppate in varie parti del mondo situazioni di panico, disagio e disorientamento.

Di questo fenomeno se ne parla da anni definendolo con termine preciso: Nomofobia, ovvero “No-mobile fobia”. David Greenfield, professore di psichiatria all’Università del Connecticut, sostiene senza indugio che l’attaccamento ad un dispositivo di connessione può sviluppare una dipendenza a causa della produzione di dopamina. Stiamo parlando di un neurotrasmettitore che risulta essere alla base della sensazione piacevole di ricompensa e gratificazione che si prova in certe situazioni. Questo concetto, magari sconosciuto ai molti, è di grande importanza per chi lavora nel mondo delle piattaforme sociali.

Una semplice notifica può infatti far salire il livello di dopamina, perché ci fa presumere che c’è qualcosa di nuovo e interessante che ci riguarda personalmente. La campanellina illuminata su YouTube, il numero rosso sopra l’icona della chat di Facebook, il popup di WhatsApp sul nostro telefono, sono solo pochi esempi di molti strumenti studiati ad-hoc, per alimentare la nostra illusione di considerazione.

Nel suo libro dal titolo “Il lato oscuro di Facebook”, Federico Mello paragona queste dipendenze alla stregua di quelle legate ad un semplice gratta e vinci. Razionalmente si sa che la percentuale di vincita rasenta quasi lo zero, ma la gente continua comunque a giocare, perché questo genera in loro l’illusione di vincere.

Non importa quindi se le mail che riceviamo sono spam o se le notifiche di Facebook non sono direttamente indirizzate a noi: sono l’effetto sorpresa e la speranza di essere considerati, ad alimentare la nostra voglia di controllare, accedere, verificare e interagire online. Tutto questo non fa altro che produrre nuova dopamina. Il problema però è che non possiamo sapere in anticipo quando accadrà, e cosi siamo portati d’impulso a controllare continuamente il nostro dispositivo in cerca di un “segnale”, entrando di fatto in un circolo vizioso.

Con questi presupposti, è ovvio che una situazione di offline scatenerà in una persona estremamente dipendente una vera e propria crisi d’astinenza. La Nomofobia è ormai una patologia riconosciuta a livello globale e, se non correttamente curata, può portare a serie conseguenze. Ezio Benelli, presidente del Congresso Mondiale di Psichiatria Dinamica afferma su questo tema che: “L’utilizzo smodato e improprio del cellulare, come di internet, può provocare non solo enormi divari fra le persone, ma anche portarle a chiudersi in se stesse, a sviluppare insicurezze relazionali o ad alimentare la paura del rifiuto, a sentirsi inadeguate e bisognose di un supporto anche se esterno e fine a se stesso”.